TRATTIENE I FIGLI ALL’ESTERO CONTRO LA VOLONTÀ DELLA MADRE .

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE – SENTENZA 27 febbraio 2019, n.8660 MASSIMA L’art. 574-bis c.p. prevede espressamente la punibilità della sottrazione del minore al genitore esercente la responsabilità genitoriale allorquando l’azione delittuosa sia stata realizzata interamente all’estero (ovvero nell’ipotesi di trattenimento del minore all’estero contro la volontà del medesimo genitore), sempre che sussista l’elemento di collegamento con la giurisdizione italiana costituito dal verificarsi, all’interno del territorio dello Stato, dell’evento del reato, consistente nell’impedimento dell’esercizio delle prerogative genitoriali per effetto della condotta illecita.

CASUS DECISUS

Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza del Tribunale di Treviso che aveva condannato l’imputato E.F.M. per il reato di cui all’art. 574-bis c.p. All’imputato era stato contestato di aver sottratto i figli minori alla madre, trattenendoli all’estero contro la volontà di quest’ultima dal luglio 2012 ed in particolare impedendo loro di far rientro in Italia. In sede di appello, la Corte territoriale respingeva l’argomentazione difensiva formulata dall’imputato, relativa al difetto di giurisdizione (aveva sostenuto che il reato era stato commesso interamente all’estero e che difettava la richiesta del Ministro di giustizia ex art. 10 cod. pen.). Secondo la Corte di appello, il reato era stato commesso in parte anche in Italia, posto che nel territorio dello Stato il nucleo familiare aveva fissato la residenza, dove pertanto si era verificato l’evento del reato (da identificarsi nell’impedimento al genitore di esercitare le sue prerogative), una volta che la persona offesa vi aveva fatto ritorno. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione l’imputato e il Procuratore generale della Corte di appello di Venezia.

TESTO DELLA SENTENZA


CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE – SENTENZA 27 febbraio 2019, n.8660 – Pres. Fidelbo – est. CalvaneseRitenuto in fatto1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza del Tribunale di Treviso che aveva condannato l’imputato E.F.M. per il reato di cui all’art. 574-bis c.p.All’imputato era stato contestato di aver sottratto i figli minori alla madre, trattenendoli all’estero contro la volontà di quest’ultima dal luglio 2012 ed in particolare impedendo loro, dopo una vacanza del nucleo familiare in (…), di far rientro in Italia, avendo distrutto i loro passaporti e i permessi di soggiorno e negando di fatto alla madre di richiederne i duplicati.In sede di appello, la Corte territoriale respingeva l’argomentazione difensiva formulata dall’imputato, relativa al difetto di giurisdizione (aveva sostenuto che il reato era stato commesso interamente all’estero e che difettava la richiesta del Ministro di giustizia ex art. 10 cod. pen.).Secondo la Corte di appello, il reato era stato commesso in parte anche in Italia, posto che nel territorio dello Stato il nucleo familiare aveva fissato la residenza, dove pertanto si era verificato l’evento del reato (da identificarsi nell’impedimento al genitore di esercitare le sue prerogative), una volta che la persona offesa vi aveva fatto ritorno dal (…), essendo irrilevante che successivamente ai fatti fosse stata pronunciata sentenza di divorzio in (…) con affidamento dei figli al padre.2. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione l’imputato e il Procuratore generale della Corte di appello di Venezia, deducendo, con separati atti, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p..2.1. Ricorso del Procuratore generale.2.1.1. Difetto di giurisdizione.Il fatto contestato si sarebbe verificato interamente all’estero, luogo dove, dopo una vacanza, concordemente i coniugi avevano deciso di vivere. Solo successivamente, la moglie dell’imputato, non più d’accordo con tale decisione, si era vista impedita dal marito la possibilità di riportare i figli in Italia, facendo rientro senza di essi.Pertanto, in difetto delle condizioni dell’art. 10 c.p., il reato non sarebbe procedibile.La sentenza impugnata presterebbe il fianco a critiche insormontabili: i due coniugi avevano la residenza in Italia, ma avevano mantenuto la cittadinanza (omissis) e anche la residenza anagrafica in (…); era stata la donna a voler abbandonare la residenza in (…) unilateralmente (decisione che non era stata neppure stigmatizzata dal giudice del (…) che in sede di divorzio, celebrato in contraddittorio, aveva affidato i figli al padre), mentre il marito era in Italia per lavoro.L’evento quindi non si sarebbe verificato in Italia.2.2. Ricorso dell’imputato, proposto dall’avv. Gianluigi Bincoletto.2.2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 6 e 10 c.p..Le censure del P.G. sarebbero condivisibili, trattandosi di fatti avvenuti interamente all’estero e riguardanti soggetti stranieri.2.2.2. Violazione dell’art. 574-bis c.p..Difetterebbero nel caso in esame le condotte tipiche del reato contestato, posto che la Corte di appello ha dato rilievo alla sola volontà della madre di riportare in Italia in Italia, dopo che era stata stabilita all’estero la loro residenza, senza verificare se la diversa volontà dell’imputato fosse conforme alla legge del luogo (che nella specie attribuisce al padre ogni decisione su viaggi all’estero dei figli, prevedendo in caso di contrasto il ricorso al giudice). In ogni caso, la persona offesa, una volta manifestata in Italia al marito la decisione di far rientrare i figli in Italia, avrebbe dovuto, in caso di contrasto, adire il giudice in Italia.Difetterebbe, per quanto sopra indicato, anche il dolo.2.2.3. Vizio di motivazione.La motivazione sarebbe illogica là dove attribuisce credibilità assoluta alla persona offesa, pur in presenza di documentate incongruenze.2.2.4. Violazione della L. n. 115 del 2002, art. 110, comma 3.Erroneamente è stata pronunciata la condanna del ricorrente alla rifusione in favore della parte civile, ammessa invece al patrocinio a spese dello Stato.3. La parte civile ha depositato in cancelleria il 4 dicembre 2018 una memoria ex art. 90 c.p.p., in cui sostiene l’inammissibilità del ricorso del P.G., in quanto la ricostruzione del fatto sarebbe priva di autosufficienza, e comunque la sua infondatezza, trattandosi di reato commesso in Italia, ai sensi dell’art. 6 c.p., comma 2.Considerato in diritto1. I ricorsi sono fondati per le ragioni di seguito indicate.2. Risulta assorbente l’accoglimento del motivo formulato da entrambi i ricorrenti in ordine al difetto della giurisdizione italiana.Questa Corte ha già affermato che l’art. 574-bis c.p. prevede espressamente la punibilità della sottrazione del minore al genitore esercente la responsabilità genitoriale allorquando l’azione delittuosa sia stata realizzata interamente all’estero (ovvero nell’ipotesi di trattenimento del minore all’estero contro la volontà del medesimo genitore), sempre che sussista l’elemento di collegamento con la giurisdizione italiana costituito dal verificarsi, all’interno del territorio dello Stato, dell’evento del reato, consistente nell’impedimento dell’esercizio delle prerogative genitoriali per effetto della condotta illecita (Sez. 6, n. 7777 del 14/12/2017, dep. 2018, R, Rv. 272722).Nel caso in esame, erroneamente le sentenze di merito hanno ritenuto di ravvisare il suddetto collegamento con il territorio italiano.L’evento indicato dalla Suprema Corte va infatti posto in correlazione al luogo nel quale il minore ha la sua residenza abituale, concordata con l’altro genitore, al momento dell’arbitraria decisione del genitore di trasferirlo o trattenerlo all’estero.È infatti in relazione a tale luogo che si verifica l’offesa derivante dalla illecita condotta, consistente nel pregiudizio del rapporto di effettiva cura del minore da parte dell’altro genitore, venendo impedito a quest’ultimo di continuare a soddisfare le molteplici esigenze fondamentali del figlio e, al minore, di mantenere consuetudini e comunanza di vita rispetto all’altro genitore.A tal riguardo va rammentato che la Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, ratificata con la L. n. 64 del 1994 e vigente anche per il (…), che disciplina gli aspetti civili della sottrazione internazionale del minore da parte di uno dei genitori, qualifica come illecito il trasferimento o il mancato rientro di un minore in relazione al luogo di ‘residenza abituale’ di quest’ultimo immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro (art. 3).Come ha precisato la giurisprudenza di legittimità (Sez. 1 civ, n. 30123 del 14/12/2017, Rv. 646487), la nozione di residenza abituale, posta dalla suddetta Convenzione, non coincide con quella di ‘domicilio’, né con quella, di residenza in senso formale, ma corrisponde ad una ‘situazione di fatto’, dovendo intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza ha consolidato, consolida, ovvero, in caso di recente trasferimento, possa consolidare una rete di affetti e relazioni tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico.Declinati questi principi alla vicenda in esame, emerge palesemente dalle sentenze di merito che doveva ritenersi il (…) lo Stato nel quale i figli minori dell’imputato avevano, al momento della contestata sottrazione, la loro residenza in forma stabile.Risulta infatti dalla ricostruzione della vicenda concordemente accolta dai giudici di merito che la persona offesa si era recata con i figli minori in (…) per una vacanza, nel corso della quale aveva accettato la decisione del marito di trasferire in via definitiva la residenza dei figli presso la madre dell’imputato in tale Stato e che, dopo un anno di permanenza in (…), non sopportando più la precaria ed insopportabile situazione abitativa, aveva deciso di far rientro in Italia con i figli, vedendosi tuttavia negare per questi ultimi il consenso del marito.Pertanto, era in (…) il luogo dove i genitori avevano deciso concordemente di trasferire la residenza abituale dei figli minori all’estero e dove questi ultimi avevano effettivamente vissuto per circa un anno.Conclusivamente la condotta contestata all’imputato deve ritenersi interamente consumata all’estero né per essa può trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 7 c.p., in assenza dei presupposti, né risultavano sussistenti in ogni caso al momento della proposizione dell’azione penale le condizioni per la procedibilità indicate dall’art. 10 c.p., difettando nelle specie la necessaria richiesta del Ministro e i limiti edittali.Ne consegue che la sentenza impugnata, al pari di quella di primo grado, devono essere annullate per difetto di giurisdizione italiana.Tale accertamento risulta assorbente rispetto ad ogni altra censura, doglianza o questione di diritto comunque illustrata difensivamente.P.Q.M.Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado pronunciata dal Tribunale di Treviso il 6 settembre 2017 per difetto di giurisdizione.

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